Nightmare of a witch

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    Le parole di Gael mi turbarono profondamente.
    Da una parte, nel fondo della mia anima infelice e tormentata, non sentivo altro che speranza, gioia, pace.
    Mi figurai persino la scena. Adrien di nuovo a casa, sano e salvo tra le mie braccia. Al sicuro.
    Dall’altra, però, il veleno del dubbio, del sospetto si fecero strada nel mio cuore, inesorabili e divoranti.
    Chi era, in fondo, quell’uomo?
    Cosa sapevo di lui?
    Niente.
    E potevo fidarmi? Potevo mettere nelle sue mani la vita della persona per me più importante al mondo.
    No. Non potevo.
    Il castello di illusioni crollò in un attimo, ed io con esso.
    Si fosse trattato di me, avrei anche potuto rischiare.
    Cosa valeva in fondo la mia misera esistenza senza di lui?
    Assolutamente nulla.
    Ma qui si trattava di Adrien, c’era la sua vita in gioco.
    Per quanto rivederlo, riaverlo con me e potermi nuovamente prendere cura di lui sarebbe stato meraviglioso, non potevo accettare l’offerta.
    Il gioco non valeva la candela, non in quel caso.
    Poteva benissimo essere uno di loro, Gael, e io ci sarei cascata come una sciocca.
    In quel caso avrei rischiato davvero la vita di Adrien..
    Chissà… magari, poteva anche ssere già… No!
    Scossi il capo con decisione. Non era morto. No.
    Adrien era vivo. Ben nascosto, magari nei guai, ma vivo.
    Non so come, ma ne ero certo.
    E non avrei rischiato così incoscientemente la sua esistenza.
    Gael, di fronte a me, attendeva una risposta.
    Fui acida, ingiusta, crudele persino.
    Lui mi aveva offerto aiuto ed io declinai l’offerta con sdegno e malagrazia.
    Davvero, non mi fidavo.
    Quale persona normale e soprattutto perbene se ne sarebbe mai andata in giro per i boschi conciata in quel modo?
    Sembrava uscito da un film dell’orrore, posso giurarlo.
    Mi faceva davvero una gran paura e lui lo aveva intuito benissimo.
    La cosa, ovviamente, mi irritava non poco.
    Mi irritava lui, immensamente, con quel suo sarcasmo gratuito e la sua aria noncurante, nichilista persino.
    Mi voltai per andarmene e accelerai il passo, ansiosa di mettere tra me e lui più distanza possibile.
    Ma stavo mentendo. E lo sapevo molto bene.
    Una parte di me, una parte che credevo distrutta, congelata per sempre dal dolore e dalla cattiveria del mondo, adesso batteva dolorosamente, con furia, implorandomi di tornare indietro, di prendere quel suo strano viso distorto tra le mani e tempestarlo di baci.
    Ovviamente, se lo avessi fatto davvero, sarei stata davvero stupida.
    Mentre correvo nella foresta le mie scarpe si impigliarono in qualcosa di non ben definito. Imprecando sottovoce, cercai di liberarmi e riprendere a camminare ma non vi riuscii.
    Di qualsiasi cosa si trattasse, mi fece perdere l’equilibrio e rovinare a terra.
    Battei la testa e sentii le palpebre divenire pesanti come pietra.
    Udii la sua voce chiamarmi e mossi le labbra per replicare invano.
    Non riuscivo a trovare la voce, non sentivo quasi più nulla dentro e intorno a me.
    La sua voce divenne un eco fioco e lontano, indistinto.
    Le ombre scure dell’oblio si addensarono su di me, trascinandomi con loro.
    Avrei voluto gridare ma non lo feci, fors’anche per il senso di pace che si stava impadronendo di me.
    Era una strana quiete, sia fisica che mentale, che donava sollievo al mio animo straziato.
    Mi lasciai andare in quel buio profondo come la notte, come i suoi occhi. Come i loro occhi.

    Stavo camminando lungo un sentiero che non avevo mai visto ne tantomeno percorso prima.
    Era nella foresta, questo lo capii, ma non sembrava la foresta di Myriel. No. Quella la conoscevo troppo bene per sbagliarmi. Era un bosco, ma non quello a me familiare.
    Incuriosita continuai a camminare. Se era un sentiero che non avevo mai battuto, avevo molte possibilità di trovarlo.
    Tirava un venticello fresco e ne fui lieta, era piacevole e refrigerante, vista la calura opprimente.
    Proseguii per la mia strada, senza pensare a nulla che non fosse lui, che non lo riguardasse.
    Ad un certo punto mi fermai di botto. Mi ero accorsa, con sgomento, di essere completamente sola.
    Ne uomo, ne animale, rompevano il silenzio di quel luogo. Divenni inquieta e affrettai il passo.
    Dov’ero? Dove stavo andando?
    Non lo sapevo. Non sapevo nulla.
    Sentii improvvisamente un gorgoglio e realizzai che doveva esserci lì vicino una cascata.
    Acqua –pensai- Esattamente ciò che mi ci vuole adesso!
    Corsi a perdifiato in quella direzione e trovai un laghetto delizioso.
    Mi inginocchiai e misi le mani a coppa, per poter bere. Raccolsi l’acqua e sollevai le mani fino alle labbra, chinando un poco il capo.
    Quando vidi cosa stavo per bere, inorridii e cacciai un urlo di puro terrore, cercando di pulirmi le mani alla bell’e meglio.
    Sangue. Ovunque, dappertutto.
    Il lago era scarlatto, così le mie mani, il mio viso, il cielo persino.
    Urlai, coprendomi gli occhi e scostando subito le mani, non sopportando l’olezzo ferrosi che mi colpì come una frustata,
    Come facevano i vampiri a bere quella roba?!
    Ringraziai il cielo di essere una strega e non una succhiasangue.
    Mi rimisi in piedi e rimasi shoccata. L’acqua si stava schiarendo lentamente e quando vidi cosa, o meglio chi c’era sul fondo, iniziai a tremare convulsamente.
    Adrien giaceva riverso sul fondo del lago, il volto orribilmente contratto in una smorfia di dolore, il petto squarciato, le braccia e le gambe piegate, scomposte e la schiena, piegata in una posa innaturale, disumana.
    Lanciai un urlo acuto nel vedere che non era solo.
    C’era un altro cadavere accanto al suo.
    Il viso era pallido, le labbra carnose tumefatte, e il suo petto era squarciato, così profondamente da poterlo vedere.
    Anzi, da non vederlo affatto.
    Non aveva il cuore.
    Ma non perché glielo avessero strappato. No. Non lo aveva e basta.
    Al suo posto una pietra nera, liscia e quadrata.
    Mi coprii gli occhi e tremai ancora, urlando.
    Non potevo, non volevo vedere.
    Perché quell’uomo era lui, Gael.
    Le persone a cui più tenevo erano morte, brutalmente assassinate ed io ne avevo trovato i cadaveri.
    Mi accasciai al suolo urlando, sentendo gelo dentro e fuori da me.
    Sentii la pioggia scrosciare, cadermi addosso, le gocce gelate insinuarsi tra le pieghe dei mie vestiti.
    Piansi a lungo, accucciata, senza il coraggio di alzare lo sguardo su quell’osceno, disgustoso spettacolo.
    Una risata acuta e stridula fendette l’aria, quasi tagliando il silenzio.
    Mi alzai in piedi per vedere chi avesse riso, ma non vidi nulla.
    Ero circondata dalle tenebre.
    Non vedevo e non sentivo nulla.
    Scivolai e battei la testa. Mi sembrava di aver già vissuto qualcosa del genere.
    Le palpebre erano pesanti ed io lasciai che si chiudessero, non avevo la forza per lottare.
    Rimasi così per non so quanto tempo, fino a che non percepii più nulla.

    Sentii un calore piacevole avvolgermi e avvolgere l’aria.
    Un odore di foglie bagnata e legna bruciata mi riempì le narici.
    Non riuscivo a muovere un muscolo, né a parlare o ad aprire gli occhi.
    Però mi sentivo bene. Ero serena, adesso.
    Immaginai di essere in Paradiso, di potermi ricongiungere a loro.
    Avevo sempre saputo che esisteva, ne ero certa.
    Sorrisi e aprii gli occhi.
    Sobbalzai. Gael mi guardava preoccupato, a pochi centimetri da me.
    Ero stesa su un pagliericcio e coperta con un telo scuro e ruvido.
    Alle spalle dell’uomo, scoppiettava un fuoco caldo.
    Mi aveva salvato la vita. E lui era vivo.
    Restava solo da trovare Adrien, adesso.
    Mi umettai le labbra secche, cercando a fatica di mettermi a sedere.
    Lo guardai seria, decisa.
    Adesso era chiaro. Adesso sapevo di potermi fidare.
    Sorrisi, arrossendo un poco.
    Dimmi, Gael, è ancora valida la tua proposta?
     
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