Guardian

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  1. °Rory-Swan°
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    Guardian



    Guardai l’alba che sorgeva fuori dalla finestra. Era l’inizio di un nuovo giorno, ma non sapevo ancora che si prospettava un lunedì diverso dagli altri, che mi avrebbe cambiato totalmente l’esistenza.
    Il signor Hamilton, il mio protetto, si svegliava sempre presto, un po’ per abitudine un po’ per mancanza di sonno. Ormai aveva 86 anni e faticava a dormire.
    “Buongiorno, George” lo salutai con un sorriso, saltando giù dalla poltroncina dove avevo passato la notte e seguendolo fuori dalla camera da letto.
    Lui non rispose, come era prevedibile.
    “Oggi dobbiamo andare dal dottore” aggiunsi in tono allegro.
    Ancora nessuna risposta, ovviamente. Non sapevo neanche perché mi ostinassi a parlare con lui, tanto non riusciva a sentirmi. Aspettai che uscisse dal bagno, poi lo seguii in cucina, muovendomi accanto a lui nonostante camminasse molto lentamente. Non potevo mai perderlo di vista. Mai.
    Perché io, Jeremy Whitman, ero un angelo custode. Il suo.
    Ero stato assegnato al signor Hamilton dieci anni prima perché il suo precedente custode era salito di grado e io ero stato scelto per rimpiazzarlo. Da una parte, certo, occuparsi di un anziano non era il massimo dell’eccitazione, ma non era la mia prima volta. Essendo un angelo giovane, non avevo alcuna possibilità di scelta. Ma c’era comunque un elemento positivo: gli anziani uscivano poco e, di conseguenza, erano meno soggetti ad incidenti, quindi i miei compiti erano limitati.
    Certo, desideravo un compito un po’ più avvincente, ma purtroppo mi mancavano ancora 137 anni prima di salire di rango. Un tempo infinito, anche per un angelo.
    Tuttavia, quella mattina il signor Hamilton doveva andare dal dottore, quindi sarebbe stato un po’ più impegnativo del solito. Lo osservai infilarsi i vestiti e le scarpe lentamente, mentre io volteggiavo per la stanza in circolo.
    “Sai, George, credo che io e te dovremmo fare più ginnastica. Ho le ali tutte intorpidite. Mi sto ammoscendo, non credi?” Mi divertivo a scherzare con lui, perché mi sentivo meno solo. “Forse dovremmo andare in palestra. Tu potresti fare un po’ di pettorali, che ne dici?”
    Ridacchiai tra me e me, poi accorsi in suo aiuto per liberare la giacca che si era incastrata all’appendino dell’armadio. Aspettai che se la infilasse, poi, come sempre, lo guardai salutare la foto della sua defunta moglie, posta sul comodino. E poi, infine, uscimmo all’aperto.
    L’ambulatorio del medico si trovava a pochi isolati di distanza e si doveva attraversare solo un semaforo. Ci avremmo impiegato circa venti minuti all’andatura del signor Hamilton, ma non avevamo fretta. Non avevamo altri impegni per la mattinata e l’appuntamento era alle otto e mezza. C’era un sacco di tempo.
    Fluttuai accanto a lui guardandomi intorno distrattamente. C’erano molti bambini che andavano a scuola, correndo e spintonandosi tra loro e, come sempre, mi ritrovai a ringraziare di non essere un A.C.I. (Angelo Custode Infantile). Troppe urla e lamentele per i miei gusti. La maggior parte dei ragazzini che avevo conosciuto nella mia vita umana e che vedevo ogni giorno per strada erano delle vere pesti e i miei Fratelli loro custodi dovevano corrergli dietro, con l’espressione di chi è sull’orlo di una crisi di nervi. Certo, noi angeli avevamo ricevuto in dono la Santa Pazienza, ma anche quella poteva finire e io non ero mai stato un ragazzo paziente. Forse sarei migliorato con l’età adulta e tutto il resto, ma un fucile dell’armata dell’Unione aveva deciso di porre fine alla mia esistenza, uccidendomi all’età di diciotto anni. Sorte crudele, forse, ma ormai non mi importava più. La mia carriera di angelo custode mi piaceva, dopotutto.
    Finalmente arrivammo al semaforo. Mentre aspettavamo che diventasse verde, percepii una presenza negativa nelle vicinanze. Mi guardai intorno, aguzzando la vista.
    Eccolo. Era un tipo alto, scuro, con ampie ali nere. Era un demone, un Oscuro. Dall’aurea che lo circondava, capii che si trattava di uno di giovane età, ma era comunque pericoloso.
    Anche lui si accorse di me, poi guardò il signor Hamilton e si aprì in un ghigno malefico.
    All’improvviso, la mia vista si oscurò. Era uno dei loro sporchi trucchi per rallentare noi angeli, ma erano efficaci, soprattutto quando non te l’aspettavi. Mi ci volle un secondo per riprendermi dalla sorpresa e altrettanto tempo per combattere l’oscurità con la mia Luce interiore.
    Un secondo di troppo.
    Quando riacquistai la vista, il signor Hamilton era in mezzo alla strada, privo di sensi. Era impossibile, non avevo impiegato così tanto. L’Oscuro doveva aver manipolato il tempo in modo da lasciare il mio protetto da solo per qualche minuto.
    Cercai il demone tra la folla, ma era sparito. Vigliacco.
    Poi corsi verso il signor Hamilton, preparando le mie energie per guarirlo. La gente cominciava ad accorrere, mentre le altre vetture si fermavano tutt’intorno, però avevo ancora qualche attimo per soccorrerlo.
    La sua luce vitale era davvero flebile, ma dovevo riuscire a salvarlo. Non doveva morire quel giorno, non per colpa mia... Posai la mano sul suo petto, all’altezza del cuore e lasciai fluire fuori la mia energia guaritrice.
    “Avanti George, tieni duro!” urlai, sperando che in quella fase di stallo tra la vita e la morte lui potesse sentirmi.
    Nonostante i miei sforzi, non c’era alcun miglioramento. L’unico modo di salvarlo era quello di attingere alla mia energia personale, alla mia aurea angelica. Sapevo di andare contro le regole, ma in quel momento non me ne poteva importare di meno. Avevo una missione e dovevo eseguirla ad ogni costo. Strinsi i denti e aumentai la potenza.
    Poi, come per miracolo, egli aprì gli occhi. La fiamma vitale bruciava sfavillante.
    Non potevo crederci! Ce l’avevo fatta!
    Mi alzai in piedi e sbattei le ali, che si erano fatte improvvisamente più pesanti. Mi sentivo stremato, ma la soddisfazione non aveva pari. Certo, avrei dovuto rispondere del mio comportamento davanti al Gran Consiglio, ma c’ero già passato e non potevamo punirmi troppo severamente: non per niente, avevo salvato una vita.
    All’improvviso, accanto a me apparve un angelo. Anzi, quattro angeli. Quello più vicino a me aveva due ali enormi e un’aurea d’oro acceso, quindi doveva essere un pezzo grosso. Gli altri, invece, erano semplici Guardie Angeliche.
    “Jeremy” mi salutò Mister Pezzo Grosso con un cenno del capo. “Vieni con me.”
    Oh-oh. Mi avevano già scoperto. Erano davvero veloci lassù in Paradiso. Stavano addirittura migliorando.
    “Ma il signor Hamilton...” replicai voltandomi a guardare il mio protetto che veniva soccorso da un uomo, forse il tassista che l’aveva investito.
    “Se ne occuperanno questi nostri Fratelli” disse con un sorriso indicando le Guardie. “Non ti preoccupare.”
    Leggermente confuso, annuii. L’angelo aprì un varco dal nulla e mi fece cenno di precederlo.
    Senza replicare, mi diressi verso lo spicchio di luce. Dall’altra parte, c’era una stanza bianca, con solo due sedie. Mi chiesi a cosa servisse. Le volte precedenti non mi avevano condotto lì, ma direttamente di fronte al Consiglio.
    L’angelo indicò le due sedie e si sedette attendendo che io facessi lo stesso.
    “Io sono Gabriel”mi disse non appena mi fui sistemato di fronte a lui.
    Gabriel? L’arcangelo? Adesso mandavano gli arcangeli ad occuparsi delle piccole infrazioni?
    “Piacere, ehm, Signor Arcangelo.” Si diceva così? Mah, chi lo sa.
    “Hai salvato una vita oggi.”
    “Lo so, ho disubbidito al Regolamento Angelico, ma non potevo lasciarlo morire...”
    “Non ti sto rimproverando” disse in tono pacato.
    “Ah no?”
    “Mi voglio complimentare e, per così dire, darti un... premio.”
    Inarcai un sopracciglio, facendo sbattere le ali per la sorpresa. “Di cosa si tratta?”
    “Di una nuova protetta. Una speciale.” Ridacchiò dolcemente, mentre la sua aurea mutava dall’oro all’arancione acceso.
    “Ma il signor Hamilton non è morto, perché mi assegnate un altro caso?”
    “Pensiamo che tu sia il guardiano più adatto per questa nuova missione. È da molto tempo che ti osserviamo, Jeremy.”
    Ero confuso ma interessato allo stesso tempo. Speravo solo di non dovermene pentire. Sospirai, poi chiesi: “Chi è?”
    Gabriel schioccò le dita e sulla parete bianca di fianco a noi apparve l’immagine di una stanza. Si trattava di una cameretta con un lettino da neonato, le tende rosa e molti, moltissimi peluches. A destra c’era una donna giovani, forse di ventitre o ventiquattro anni, di una bellezza, neanche a dirlo, celestiale. In braccio aveva una bambina di pochi mesi. Sembrava di osservare una scena dallo spioncino di una porta, era molto strano.
    “È lei?” chiesi con un sussurro, indicando la donna.
    Gabriel ridacchiò. “Non devi parlare così piano. Non può né vederci né sentirci.” Poi tornò serio: “Comunque sì, è lei. La bambina, intendo.”
    La... bambina?
    Oh no.
    “Non sono affatto l’angelo giusto, allora. Io non so niente di neonati.”
    “Questa non è una semplice neonata, è speciale.”
    “In che senso?” Mi pareva una cosa senza senso. A vederla, pareva una bimba normale.
    “Osservala bene.”
    E cosa dovevo guardare?
    I miei occhi ne seguirono i tratti, le forme, gli abiti. Poi capii ciò che intendeva l’arcangelo. Non era l’aspetto ad essere diverso in lei, ma qualcos’altro, che potevamo vedere solo noi angeli. La sua aurea era dorata per metà, l’altra invece era nera come la pece.
    “Com’è possibile?” chiesi voltandomi verso Gabriel.
    “Starr, questo è il suo nome, è figlia di un angelo e di un demone.”
    “Lei sta scherzando” ribattei scoppiando a ridere. Mi prendeva in giro, era chiaro, le unioni di quel genere erano severamente vietate e punite.
    “Ti sembra che stia scherzando, Jeremy?” mi chiese sempre in tono pacato.
    In effetti no, non sembrava affatto. “No, signore, ma...”
    “Sto dicendo la verità. Lucy e Cameron si sono innamorati e hanno rinunciato alla loro immortalità per stare insieme. Starr, dunque, è metà angelo metà demone.”
    “È pericolosa? Per questo volete che la controlli?” Cercavo di capire meglio, ma mi sembrava ancora tutto assurdo.
    “Non vogliamo che la controlli, ma che la proteggi.”
    “I suoi genitori possono farlo...”
    Gabriel non rispose subito, ma si alzò e cominciò a camminare lentamente per la stanza, con le mani dietro alla schiena.
    “Cosa non mi sta dicendo?” chiesi sospettoso.
    Finalmente si voltò a guardarmi. “È complicato, Jeremy, non è previsto che tu conosca tutti i fatti.”
    “Come faccio a svolgere il mio lavoro se non sono al corrente dei dettagli più importanti?”
    “Ti basti sapere che i suoi genitori, da umani, non possono proteggerla da tutti i pericoli. E non saranno sempre presenti per lei. Verrà il giorno in cui tu sarai la sua unica fonte di protezione, da se stessa ma soprattutto dagli altri.”
    “Intende dagli Oscuri?”
    “Non proprio.” Si sedette nuovamente, appoggiando i gomiti alle ginocchia e protendendosi verso di me. “Lucifero non si azzarderà a minacciare la sua vita. Le ha già rovinato l’esistenza, per lui questo è meglio di qualsiasi altra vendetta.”
    “In che senso?”
    “L’ha maledetta.”
    Solo l’idea mi faceva rabbrividire. Chi poteva maledire una bambina innocente? Solo il Diavolo in persona. Purtroppo non c’era da stupirsi. “In che modo?”
    “L’amore è ciò che ha portato uno dei suoi preferiti lontano dalle sue schiere ed è proprio questo che le tormenterà la vita. Sarà destinata a trasferirsi ogni anno, a stringere nuove amicizie, ad innamorarsi follemente, per poi venire completamente dimenticata l’anno successivo, non appena se ne sarà andata.” Sospirò. “La ragazza vivrà perennemente col cuore spezzato, ricordando ogni momento di ogni singolo anno, senza poter fare niente per cambiare il corso degli eventi. Tutte le persone che incontrerà si dimenticheranno di lei, come se non fosse mai esistita. Vivere un’esistenza di questo tipo è probabilmente peggio di ogni altra punizione. Il Signore ci ha donato tanto amore, ma il Male sa come usarlo contro di noi.”
    Strinsi i denti, sentendo montare la rabbia. Lucifero era un vigliacco, come tutti i suoi adepti. “Come può un qualsiasi essere, mortale o immortale, augurare una cosa del genere a quella che, in fondo, è come se fosse sua nipote?”
    “Gli Oscuri non conoscono né compassione né sentimento familiare, Jeremy. Non sono come noi. Ma noi ci occuperemo di lei fino al limite delle nostre possibilità.”
    “Non potete...?”
    “No, Jeremy” disse oscurandosi in viso. “Ci sono cose che nemmeno il Signore può fare contro Lucifero. Tuttavia, Egli ha donato alla piccola un’abilità angelica che dovrebbe aiutarla.”
    “Di cosa si tratta?”
    “Della Suprema Conoscenza.”
    Interessante. Avrebbe saputo cose sulle persone che la circondano senza doversi sforzare o leggere il pensiero. “E io cosa devo fare?”
    “Occuparti di lei ad ogni costo. Sempre e comunque.”
    Annuii energicamente.
    A quel punto, Gabriel si alzò in piedi, sistemandosi la giacca. “C’è una sola regola, Jeremy, e devi promettere di seguirla, in ogni caso: Starr non dovrà mai sapere che tu esisti. Dovrai agire in modo da non rivelarti mai. Ce la puoi fare?”
    “Penso di sì.”
    “Mi serve una risposta certa, Jeremy.”
    “Sissignore, non sbaglierò, signore.” Mi sembrava di essere tornato ai tempi in cui, da umano, avevo combattuto nella Guerra Civile. Almeno avevo evitato di portarmi una mano alla fronte in segno di saluto militare, non so se l’avrebbe apprezzato.
    “Bene, allora è meglio che tu inizi subito.”
    Aprì un altro varco e la luce che entrò nella stanza mi accecò.
    “Aspetti!”
    “Sì?” mi chiese girandosi a guardarmi, serafico.
    “Perché avete scelto me?”
    “Sei abbastanza testardo da farcela. E troverai in Starr una degna avversaria in termini di testardaggine, se la piccola ha preso almeno in parte da sua madre.” Sorrise divertito, mentre la sua aurea si tingeva nuovamente di arancione.
    “E se dovessi fallire?”
    “Troveremo qualcuno per sostituirti. Ma io non mi arrenderei facilmente, come ricompensa ti aspetta un posto tra le più alte schiere angeliche.”
    “Davvero?”
    “Vediamo come andrà a finire.”
    “Lei lo sa già.”
    “Io no, ma Lui sì.”
    Gabriel aprì le sue enormi ali e io, alzandomi, feci lo stesso, ma in modo molto meno elegante.
    “Ci dobbiamo salutare” disse appoggiandomi una mano sulla spalla “ma ci vedremo ancora. Nel frattempo, proteggi la bambina ad ogni costo. Potrebbe cambiare le sorti del mondo, in futuro.”
    Non capivo se mi stesse rivelando qualcosa di importante oppure se fosse solo un dato di fatto, ma annuì. “Lo farò.”
    “Ora va’! Arrivederci!”
    Schioccò le dita e, in un baleno, mi ritrovai nella stanza che mi aveva mostrato Gabriel. Ora la donna non c’era più e fuori dalla finestra era tutto buio. All’interno c’era solo una lampada colorata, posta vicino al lettino. Starr dormiva beata sotto la copertina.
    Presi la sedia lasciata libera e mi sedetti, ma solo per poco, poi mi rialzai. Ero nervoso. Da quella mattina era cambiato tutto. Ora ero il custode di una neonata, chi l’avrebbe mai detto? E la piccola era il frutto di un’unione che non consideravo nemmeno possibile. Continuavo a ripensare alle parole dell’arcangelo riguardo alla maledizione. Dovevo fare qualcosa al riguardo, trovare una soluzione. Doveva essercene una, nonostante Gabriel sembrasse pensare di no. Ero un tipo testardo, giusto? E lo sarei stato davvero.
    Guardai fuori dalla finestra, verso il cielo nero. Da qualche parte qualcuno mi stava osservando con attenzione, lo sentivo. Poi mi voltai verso Starr e le promisi che avrei fatto qualsiasi cosa per farla crescere felice. Ognuno ne aveva il sacro diritto e io avevo perso la mia occasione più di centocinquant’anni prima. Non avrei lasciato che la bambina soffrisse per una scelta, forse sbagliata, ma pur sempre dettata dall’amore.
    Dovevo trovare un modo per spezzare la maledizione e dovevo farlo in fretta.
     
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