La ragazza sull'altalena

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  1. °Rory-Swan°
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    Il sole splendeva alto nel cielo color zaffiro e faceva risplendere l’intenso verde del prato.
    In quella splendida giornata due innamorati si sorridevano su una panchina, un bimbo giocava con il suo cagnolino, due madri chiacchieravano spingendo le rispettive carrozzine. E poi c’era lei, la ragazza sull’altalena. Indossava un abito chiaro, tempestato da piccoli fiorellini colorati, ed un cappello giallo a falda larga che le nascondeva parzialmente il viso.
    Sorrideva. Sorrideva al cielo, al sole, alla sua giovinezza. Con quel sorriso che risiede in chi non ha preoccupazioni, quello che Micheal invece non conosceva più da molto tempo.
    Gli occhi del ragazzo scivolarono sull’immagine, su ogni singolo dettaglio, come aveva fatto tante volte in passato.
    Ma stavolta era diverso. Nemmeno il suo quadro preferito riusciva a togliergli l’enorme peso che sentiva nel cuore.
    Era arrivato al museo quella mattina presto e si era seduto sulla bassa panchina in legno davanti al quadro. Non si era più mosso né aveva parlato con qualcuno. Era semplicemente rimasto lì ad osservare, come aveva fatto quasi ogni giorno nelle ultime settimane.
    La guardia che controllava la sala, un uomo sulla quarantina di nome Lucas, ormai lo conosceva bene, nonostante non sapesse il suo nome e nemmeno il motivo della sue continue visite. E la cosa più strana era che il ragazzo non guardava gli altri quadri esposti, ma solo uno. La ragazza sull’altalena. Certo era un bel quadro, ma non al punto da giustificare una tale ossessione.
    Michael diede un’occhiata al suo orologio da polso. Erano quasi le tre del pomeriggio e mancavano poche ore alla chiusura del museo. Poi Michael sarebbe tornato a casa, avrebbe mangiato qualcosa e sarebbe andato a letto, seguendo un ritmico rituale quotidiano.
    Ad un certo punto una voce lo richiamò alla realtà.
    “E’ libero questo posto?”
    Michael alzò distrattamente lo sguardo e vide una ragazza di circa diciassette anni in piedi accanto a lui.
    “Posso sedermi?” chiese nuovamente lei, con voce gentile.
    Michael annuì senza una parola, poi tornò a guardare il quadro. Non gli era mai capitato di avere contatti con le persone che frequentavano il museo, tanto meno che qualcuno gli si sedesse vicino. La ragazza si accomodò rivolgendogli nuovamente la parola: “E’ un’immagine bellissima, vero? A me è sempre piaciuta e a te?”
    Michael annuì nuovamente. Sperava che non si fosse seduta lì per chiacchierare perché lui non ne era propriamente in vena.
    “Scusami”, disse lei, “forse ti sto disturbando... non volevo, è che... sembri un po’ giù di morale. E’ un po’ che ti osservo e ti ho visto sempre fermo qui. Mi chiedevo cosa avesse questo quadro di così speciale per te. Insomma, io vengo al museo per trovare conforto, magari è lo stesso anche per te...” Attese qualche secondo, poi aggiunse: “Probabilmente ho fatto male ad avvicinarmi, scusami. Ora me ne vado.”
    Michael era rimasto sorpreso dalle parole della ragazza. Sembrava che ella comprendesse il dolore che lo affliggeva.
    Ma come avrebbe potuto aiutarlo? Di certo non con futili chiacchiere! Ripensandoci però... era la prima volta che qualcuno notava il suo malessere e si interessava al motivo.
    Forse lei poteva capirlo. Forse...
    “Aspetta.”
    La ragazza, che si era già alzata in piedi pronta per andarsene, si voltò immediatamente.
    “Sì?”
    “Ha funzionato?” chiese Michael.
    “Cosa?”
    “Venire qui quando eri triste. Ti ha fatto sentire meglio?”
    Lei ci pensò un attimo prima di rispondere.
    “Beh, mi ha aiutata. Starsene un po’ da soli aiuta sempre, ma bisogna stare attenti a non esagerare, altrimenti si rischia di perdersi nella solitudine. Insomma, parlare con qualcuno può fare altrettanto bene.”
    Michael sapeva che quello che diceva la ragazza era vero. Si era già perso. Era sempre da solo e si era abituato a parlare unicamente con se stesso.
    Si accorse che si stava torcendo le mani come sempre quando era nervoso, così le rilassò. Sua madre lo rimproverava quando lo faceva da bambino, ma la brutta abitudine era rimasta.
    Poi, con un sospiro, alzò lo sguardo verso la ragazza, la quale lo osservava con un’espressione di curiosità mista a preoccupazione. Forse si stava chiedendo se fosse pazzo. E lui non poteva di certo biasimarla. Molte persone che visitavano il museo probabilmente se lo chiedevano nel vederlo con lo sguardo perso nel vuoto, silenzioso e malinconico. Ma lui non se n’era mai curato. Almeno fino a quel giorno. Perché in quella ragazza vi era qualcosa di speciale, di diverso.
    “Se vuoi, puoi tornare a sederti. Non mi infastidisci” mormorò.
    La ragazza gli rispose con un sorriso e si sedette nuovamente accanto a lui.
    “Allora, cosa ti è successo?”
    “Non ne voglio parlare...”
    “Sì, invece”, lo interruppe la ragazza, “altrimenti non mi avresti chiesto di restare. So che non mi conosci per niente, ma sono piuttosto brava ad ascoltare. Sono sicura che ti aiuterebbe.”
    La risposta non arrivò, ma lei non si perse d’animo. Era pronta ad aiutare quel giovane, che lui lo volesse oppure no.
    “Okay, allora cercherò di indovinare, va bene? Uhm, forse si tratta di una ragazza?”
    Michael fece una smorfia.
    “No, va bene. La scuola? Devi avere circa la mia età... Si tratta di questo?”
    Lui scosse il capo.
    “I tuoi genitori, allora?”
    La mascella del ragazzo s’irrigidì immediatamente e alla ragazza non sfuggì nemmeno quel particolare.
    “Ho ragione?”
    Sicuro che non l’avrebbe lasciato in pace fino a quando non le avesse raccontato tutto, sospirò e poi le chiese: “Vedi questo quadro?”
    La ragazza seguì il suo sguardo.
    “Sì...”
    “Per me è molto più di una semplice opera d’arte. E’ la mia infanzia.”
    Incerta, lei domandò: “Cosa intendi?”
    “Venivo al museo tutte le settimane con mia madre quando ero piccolo. Adorava sedersi sulla panca e guardare questo quadro. Diceva che, secondo lei, era l’immagine più rasserenante del mondo. Ed è lo stesso per me: quando mi trovo qui tutti i problemi spariscono e riesco a non pensare alla mia tristezza.”
    “Ci vieni spesso?” chiese lei, improvvisamente seria, ed egli notò che aveva un viso di bambola, bellissimo e attento ad ogni sua parola.
    “Ogni volta che ne sento bisogno. Ultimamente quasi ogni giorno.”
    “E tua madre?”
    “Lei non ci viene da tanto tempo.”
    “Perché?”
    Michael si chinò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Poi disse: “Mia madre ha abbandonato me e mio padre quando avevo dieci anni. Da allora non l’ho più rivista.”
    “Mi dispiace tantissimo” mormorò lei sincera. Poteva solo immaginare quanto stesse soffrendo. “Anche per tuo padre.”
    “Mio padre ha reagito buttandosi a capofitto nel suo lavoro e a malapena torna a casa per dormire.”
    “Ti ha lasciato solo a sopportare tutto questo?”
    “Ha semplicemente deciso di non pensare per non soffrire più. Se avessi potuto l’avrei fatto anche io. A volte è più facile non sentire niente se l’unico sentimento che provi è l’odio.”
    “Tu... tu odi tua madre?” chiese lei, improvvisamente stupita.
    “No, ma vorrei poterci riuscire. Così sarebbe più facile lasciarsi alle spalle quello che ha fatto.”
    “Cosa ha fatto?”
    Michael si inumidì le labbra prima di rispondere.
    “Si è innamorata di un altro uomo e si sposerà con lui proprio oggi pomeriggio.”
    La ragazza abbassò lo sguardo sulle sue mani appoggiate in grembo. “E’ terribile, mi dispiace davvero tanto.” Poi aggiunse, tornando a guardarlo: “Però non credo sia un buon motivo per odiarla e nemmeno per arrabbiarsi con lei.”
    “Perché? Mi ha lasciato da solo quando ne avevo più bisogno. Per anni mi sono portato tutto sulle spalle, non potendo contare né su mio padre né su qualcun altro.”
    “Hai più parlato con lei?”
    “Lei ha provato a contattarmi più di una volta, ma... io non le ho mai risposto. Non potevo, non volevo vederla con un uomo che non fosse mio padre. A volte, quando ero più piccolo, la sognavo tornare a casa e portarmi via con sé. Capisci? Non mi curavo nemmeno di mio papà. Sapevo che la nostra famiglia non si sarebbe più riunita. La situazione era critica molto tempo prima che lei se ne andasse, i miei genitori continuavano a bisticciare e sapevo che lei era infelice. Io però volevo solo stare con lei, ma poi ho pensato che non era solo colpa di mio padre se lei ci aveva abbandonati, era anche colpa mia. Evidentemente non teneva a sufficienza a nessuno dei due se alla fine se n’era andata”
    “Eri un bambino, è un pensiero normale a quell’età. Non potevi farci nulla.”
    “Lo so, ma il problema è che credo ancora in quel sogno. E’ l’immagine più ricorrente nei miei pensieri, perché non riesco ancora a credere che quella donna dolce e premurosa che mi accompagnava al museo e divideva con me questi momenti di serenità, sia stata capace di abbandonare suo figlio e lasciarlo da solo a raccogliere i pezzi di una famiglia distrutta. E tutto questo per un uomo qualsiasi.”
    La ragazza si morse un labbro. Sembrava incerta su cosa rispondere. Infine disse: “Non si tratta di un uomo qualsiasi, ma di un uomo che lei ama. Il fatto che abbia lasciato tuo padre per amore di un altro, non significa che i suoi sentimenti per te siano improvvisamente cambiati. Può accadere che qualcuno si innamori al di fuori del proprio matrimonio, ma scegliere di essere felici con qualcun altro non significa dimenticare il passato ed i sentimenti ad esso legati. Bisogna solo comprendere ed accettare che tutto è cambiato.”
    “Lei però non è tornata da me, questo deve pur significare qualcosa. Che di me non le importa niente!”
    Lei sospirò. “Che cosa pretendevi? Tu non le hai più risposto. Non poteva di certo venire da te e rischiare di essere respinta. Sarebbe stato troppo da sopportare.”
    “Come fai ad esserne sicura?”
    “Beh, non lo sono. Faccio solo supposizioni. Invece tu come fai a sapere che si sposa oggi?”
    Michael tirò fuori un foglio spiegazzato dalla tasca dei pantaloni e glielo porse.
    La ragazza lesse ad alta voce: “‘Anna Dawson e George Bowman sono lieti di invitarti alla celebrazione del loro matrimonio sabato 17 aprile 2012 alle 16 presso la St. Mary’s Church di Decaturville.’” A quel punto alzò lo sguardo e gli rivolse uno sguardo pieno di compassione. “Mi dispiace, capisco che dev’essere un duro colpo per te.”
    “Non importa” borbottò Michael riprendendosi l’invito e rimettendolo in tasca. “Almeno ha avuto il buon gusto di aspettare qualche anno prima di risposarsi.”
    La ragazza sospirò, poi disse cautamente: “Non pensi che tua madre ti abbia invitato perché vorrebbe averti con sé in un giorno così importante?”
    “In realtà non so cosa pensare.”
    “Io credo che l’amore di un genitore per un figlio sia molto diverso da quello che si prova per il proprio compagno.”
    “Non so.”
    “Guardati intorno!” esclamò lei aprendo le braccia. “Prendi per esempio quella giovane madre con il passeggino: magari è una donna divorziata, una mamma single, oppure è felicemente sposata con un uomo che la ama da morire. Lo puoi comprendere da come guarda il suo bambino? No, perché non importa quali siano le difficoltà della vita, lei sa che l’affetto per suo figlio non cambierà mai.”
    Michael seguì il suo sguardo e osservò la donna. Magari la ragazza aveva ragione, ma nel suo caso la sua situazione era completamente diversa. Scosse il capo e guardò lontano, verso la finestra alla sua sinistra. “Hai una visione troppo semplice della vita” disse infine.
    “E tu sei troppo pessimista. Non hai voluto dare a tua madre nemmeno una possibilità.”
    Lui tornò a incrociare lo sguardo della ragazza. “Perché avrei dovuto?” esclamò. “Non era lì quando avevo bisogno di lei.”
    “Tu non gliel’hai permesso.”
    “Lei non ci ha realmente provato!” Senza accorgersene aveva alzato la voce e Lucas il guardiano, preoccupato, mosse qualche passo verso di lui. Giusto nel caso che il ragazzo facesse qualcosa di avventato. Perché poteva succedere: Lucas era un appassionato di cronaca e aveva letto a volte di persone apparentemente tranquille che si trasformavano da un momento all’altro in esseri pericolosi, capaci di fare del male a qualcuno.
    Michael, invece, riprese subito il controllo e si schiarì la gola. “Scusa.”
    Lucas, tranquillizzato, tornò alla sua postazione
    Si sentiva uno stupido ad aver reagito in quel modo. Non avrebbe dovuto, lo sapeva.
    La ragazza però non sembrava affatto turbata. “Non importa” disse dolcemente. “Insomma, probabilmente sai meglio di me cosa è successo, in fondo si tratta di tua madre, non della mia.”
    “A me sembra di non conoscerla più. E’ passato così tanto tempo che... Ricordo solo la donna che mi cucinava i pancakes alla domenica, che mi portava al museo e che mi raccontava le fiabe alla sera per farmi addormentare, ma potrebbe esserci una parte di lei che non ho mai conosciuto.”
    “Beh, non è mai troppo tardi per imparare a conoscerla meglio e c’è solo un modo per farlo.”
    Michael abbassò lo sguardo. Sapeva già cosa stava per dire, ma non era sicuro di voler ammettere che la ragazza aveva ragione. Aveva avuto tutti quegli anni per trovare il coraggio di andare da sua madre e affrontarla, ma non c’era mai riuscito. Aveva sempre avuto paura, paura che lei non lo volesse più, che non gli volesse più bene.
    La ragazza sollevò il braccio lentamente e lo posò sulla sua spalla. “Dovresti andare al suo matrimonio.”
    “E poi cosa dovrei fare?” domandò lui guardandola con un’espressione tesa, ma senza sottrarsi al suo tocco.
    “Parlale, cerca di scoprire cosa che le sia successo in questi anni, quello che ha provato nel lasciarti e non vederti più... Credo che capirai molto più di quanto pensi. Se andrà tutto bene non importeranno gli anni passati lontano da lei, i ricordi sbiaditi, le speranze scemate a poco a poco. Potreste crearvi nuovi ricordi, quelli che non potrai mai dimenticare. E forse la prossima volta tornerete a visitare il museo insieme.” Quando pronunciò quell’ultima frase, la ragazza sorrise. La luce ambrata che filtrava dalle finestre della sala le illuminava il viso e, per la prima volta, Michael notò veramente i suoi bellissimi occhi azzurri, il nasino all’insù, le lentiggini e i lunghi capelli dorati.
    Era bellissima. Gli sembrava un viso già noto, ma non ricordava chi fosse né dove l’avesse già incontrata.
    Capì che il loro tempo era scaduto. Il loro volti erano tanto vicini che quasi si potevano toccare. “Devo andare” mormorò lui infine, non distogliendo però ancora lo sguardo da lei.
    La ragazza annuì con un mezzo sorriso.
    “Pensi che ti vedrò ancora?”
    “Forse” disse lei ridendo e alzando leggermente le spalle.
    Michael si alzò in piedi e osservò l’orologio. Le tre e ventisette. Se correva poteva ancora fare in tempo ad arrivare al matrimonio.
    “Ti ringrazio” disse alla ragazza con un’energia che non sentiva da tanto tempo e finalmente sorrise. Poi, dopo un’ultima occhiata al quadro, si allontanò. Sapeva che il suo futuro era incerto, ma in fondo lo è per chiunque. Aveva scelto di vivere la sua vita seguendo l’onda, facendosi guidare dagli avvenimenti, senza prendere mai una reale decisione, trovando rifugio solo nell’immagine di quel quadro, nel muto mondo dell’arte. Un mondo che pareva aiutarlo, ma che invece lo aveva tenuto ancorato al passato senza permettergli di guardare più lontano, ad una luce che brillava come fuoco e che gli donava ora coraggio e speranza.
    E tutto grazie a lei. Lei che era diversa, lei che aveva trovato le parole per arrivare in fondo al suo cuore e che sembrava conoscerlo tanto bene.
    Chissà se l’avrebbe mai rivista.
    No, probabilmente no.
    Ed era un peccato perché non le aveva nemmeno chiesto il suo nome.
    La prossima volta, se ci fosse stata, non avrebbe mancato di chiederglielo.

    La ragazza, rimasta sola, si alzò dalla panca e si sistemò il vestito con gesti tranquilli ma decisi.
    Era contenta della chiacchierata. Aveva fatto il possibile per convincere il ragazzo a dare una seconda possibilità a se stesso e a sua madre. L’amore non è un argomento facile da trattare con chi ha paura di rimanere deluso.
    Sperava che tutto finisse bene.
    Prese il suo cappello, che era rimasto per tutto il tempo sulla panca accanto a lei, e lo indossò.
    Era giunto il momento di tornare.
    Si avvicinò alla tela. Girò il capo verso destra e incontrò lo sguardo di Lucas. Lui le fece l’occhiolino e lei lo ricambiò.
    Infine, con un sorriso soddisfatto, chiuse gli occhi e rientrò nel quadro.
    La ragazza sull’altalena era tornata al suo posto, con la lunga chioma dorata che ondeggiava sotto le falde del cappello.
     
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