Posts written by «JSTJart»

  1. .
    CITAZIONE
    La parola comfort si scrive così davvero ^^

    Sì, ma l'errore non è mio ;)
    CITAZIONE
    Sui tempi verbali sono sicurissima

    Io non penso... anche perchè, come ti dicevo, nel contest non me li hanno corretti e soprattutto, faccio notare che è un racconto passato, quindi narrato al passato ;)

    PS: Non mi serve un libro di grammatica quando posso consultarmi con mia madre che è laureata in lettere e insegna :lol:
    E anche lei mi ha detto che l'uso dei tempi è corretto ;)
  2. .
    Comincio col ringraziarti per il commento poi... gli errori del femminile al maschile pensavo di averli corretti, ma evidentemente ho pubblicato la vecchia versione :lol:
    Comunque:
    CITAZIONE
    comfort

    MMM... questo era l'incipit, non l'ho scritto io! :)
    CITAZIONE
    Cla è Clara? Tu sei Clara?

    Nu, Clà è un diminutivo di Claudia o Claudio ù_ù
    Per il tempo verbale... mi spiace dirti che non sono d'accordo:
    alla fine faccio notare che è una storia raccontata al passato perchè è successa anni prima, infatti nel concorso non mi hanno corretto l'uso dei tempi verbali ;)
    Per quanto riguarda la morale... il concetto che volevo esprimere è di stare attenti alle persone false, non di evitare di aiutarle: ognuno è libro di agire come meglio crede alla fine ^^

    CITAZIONE
    poi mi sono messa a ridere con le mia amiche che bella serata!

    Felice per te ;)
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    Grazie :)
  4. .
    Grazie per le correzioni ed il commento! :)
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    Ciao ^^
    Allora, il tema mi interessa, ma ho qualche cosa da dirti:
    lo stile più che poesia secondo me andrebbe bene per una lettera, una prosa o simile :)
    Poi ti ricordo che dopo i tre puntini sospensivi si lascia lo spazio ^_^
    Comunque, complimenti :)
  6. .
    Provate a sentire questa canzone mentre leggete :P


    L’orologio scorreva più rapido del solito. E mentre scorreva il tempo, un solco si colmava nella mia mente.
    Rina era morta. Com’era potuto succedere? Proprio a lei, la più amata del formicaio di Ignei?
    Laboriosa e sobria, il “Popolo Nero” le sarà per sempre riconoscente. Come potrebbe non esserlo, dopo tutto ciò che ha fatto?
    Il mio cuore si riempiva sempre di più di astio: odiavo profondamente chi l’aveva uccisa.
    Volevo essere con lei in quel momento, volevo vederla esalare l’ultimo respiro. Volevo esserci per darle un semplice addio, o magari un arrivederci.
    E’ morta per mano dell’uomo, che l’aveva resa priva di sensi e poi uccisa. No, non era morta per caso…
    Ora però era il giorno degli estremi onori, il momento opportuno per salutarla; eravamo riuniti, tutto il formicaio di Ignei era venuto per lei.
    Ad un certo punto si udirono dei passi e poi un canto. Una melodia armoniosa e intonata che descriveva l’aurora, il momento che più adorava Rina. La musichetta penetrante narrava anche del silenzio, un'altra delle tante cose che adorava.
    «Il silenzio è oro. Era ciò che diceva.» Era la voce di Lann, il fratello maggiore.
    Ecco che si celebrava il rito funebre, dove si dicevano sempre le solite parole, nessuno che osava pronunciare qualcosa di diverso.
    La famiglia di Rina non volle parlare; comprendevo le loro ragioni: essendo stata la migliore amica di Rina vedevo quanto era amata e la sua morte dopo soli quindici anni di esistenza li aveva sconvolti.
    Scorgevo da lontano le tre sorelle straziate dal dolore: piangevano e quando sembravano smettere ricominciavano. Gli amici più cari erano solamente scossi e con gli occhi rivolti verso il pavimento, così mi accorgevo che forse ero stata io la sua vera migliore amica perché in quel momento provavo più dolore di ogni presente.
    Sentivo le palpebre pesanti per la veglia del giorno prima e ora avevo la vista offuscata dalle lacrime. Lacrime che scendevano giù come un ruscello vedendo la mia amata Rina rilassata come se stesse dormendo.
    Un nodo in gola si era bloccato quando l’avevo toccata per l’ultima volta, non potevo continuare così.

    Perché darle un addio se posso rivederla subito? Voglio rivederla e vivere con lei. Sono sicura di andare in un mondo senza uomini, un mondo nuovo.

    Scappavo via, via da quello strazio e la facevo finita per sempre. Andavo verso un burrone alto più o meno dieci decimetri, il necessario per andare a trovare Rina; e mentre mi buttavo dal burrone cercavo di trovare un bel momento nella mia memoria: non trovavo niente.
    Sentivo il vento in faccia, una discesa che non finiva mai, era bello perchè, come canta il caro e vecchio Form Dylan:

    “The answer my friend, is blowing in the wind. The answer is blowing in the wind”
    La risposta sta nel vento, nella tempesta che mi travolgeva in quel momento.
    «Tania, un giorno voleremo insieme, e ci butteremo da un’altezza immensa provando il brivido della profondità!» era questo il suo sogno.

    Rina, voleremo insieme

    Subito dopo mi accorsi di aver ragione: Rina era seduta in attesa su una piccola sediolina, mi sedetti accanto a lei.



    Anche questo utilizzato per un contest :lol:
  7. .
    Questo racconto lo sto usando per un contest di scrittura :)


    Mi trovo nella stessa stanza da non so quanti anni. Sto fermo a guardare la parete bianca da non so quante ore. Che cosa mi ha portato qui? Ricordo molto poco della mia vita.
    Ora vedo me, che suono le corde di un violino, del mio violino; sto incantando il pubblico presente in quella sala abbastanza ampia che mi sembra familiare è vicino ad una delle tende rosse. Mi sorride. Non riesco a distogliere lo sguardo da lei, né lei da me. I suoi lunghi capelli biondi, ricci e sciolti, sembrano quasi meglio del suo volto magro e spigoloso, d’una bellezza inebriante.
    Continuo a suonare quella dolce melodia, della quale adesso non ricordo il nome, ma ora sono accompagnato da un uomo in giacca e cravatta, barba e pizzetto, che suona la chitarra.

    - Ah! – mi sveglio di soprassalto, non capendo se è un sogno o un ricordo, quello di prima.
    Perdo la cognizione del tempo e dello spazio oramai.
    - Tu, con me! – mi grida minaccioso il solito tipo addetto alla sorveglianza, alto, dai capelli brizzolati.
    - Io? – gli chiedo.
    - Sì, testa di... – mi ringhia sempre più infuriato
    - Vedi altri nella cella? – continua.
    In effetti, poco prima vedevo tante persone ed io che suono , ma preferisco non ribattere – No –
    - Seguimi, allora! – mi urla sempre più spazientito.
    - Dove andiamo?
    - Memoria corta hai, violinista! Ci arriviamo ogni giorno… - e dopo una piccola pausa scoppia in una risata agghiacciante. Ha in mano una candela che è l’unica fonte di luce che c’è nel corridoio, più simile a un vicolo cieco.
    Camminiamo da non so quanto tempo, ma abbastanza da farmi tremare le gambe per lo sforzo.
    Arriviamo quando ormai sfinito, non mi reggo più in piedi.
    L’uomo dai capelli brizzolati apre bruscamente la porta e la chiude con un tonfo.
    C’è un altro signore nella sala. Ha uno sguardo enigmatico.
    Di peso mi trascinano su un materasso e poi mi legano dei fili alla testa. Non capisco più niente: tutto mi vibra!
    Quando mi fanno rialzare e poi mi lasciano, cado a terra sfinito.
    Non riesco a controllare i miei bracci e le mie gambe. Ora è tutto buio.
    Mi sveglio ancora disteso sul freddo pavimento; ora posso controllare il mio corpo, quindi mi alzo di scatto e trovo sedute le due persone che mi hanno fatto tutta quest' operazione.
    - Che diamine mi avete fatto? – urlo, in preda all’ira.
    Si limitano a ridere di gusto come dei porci.
    A momenti perdo il controllo e alla fine mi lascio sopraffare dall’ira.
    - Pagherai! – urlo puntando il dito contro l’uomo alto.
    Scoppiano ancora in una lunga risata interrotta dal mio pugno secco allo zigomo dell’uomo.
    A questo punto l’altro interviene sferrandomi un calcio dritto nelle costole, ma riesco a stendere anche lui. Qualche addetto alla sorveglianza sente i rumori, infatti in due accorrono e mi tengono fermo, mentre i due uomini si rialzano da terra.
    Sono bloccato così, tra un pugno e l’altro che mi sferrano da vigliacchi. Poi cominciano a gridare:
    - Come osi? –
    - Figlio di nessuno! -
    - Chi sei tu? -
    - Non sono più nessuno ormai – rispondo calmo, mentre il sangue mi cola dal naso. Mi ritornano in mente le immagini che avevo visto prima. Sto di nuovo suonando. Poi riprendo conoscenza.
    - Domani non ricorderai più niente - . mi dice uno dei due uomini.
    - Tu sei un peso morto per la società: sei solo la quinta corda del tuo violino scordato - conclude l’altro.

    FINE...forse

    Ho cercato di fare il mio meglio, scritto su un quaderno dei racconti :lol: Spero di aver spremuto la mia creatività!
  8. .
    Io e la mamma abitavamo in una villetta a mezz’ora circa dalla città.
    Non era stato facile trovare una casa che corrispondesse alle nostre esigenze: in campagna, senza vicini, tre stanze da letto, giardino davanti e dietro; una casa che fosse vecchia (doveva avere stile) ma, al tempo stesso, dotata di tutti i confort: un moderno impianto di riscaldamento era fondamentale, dato che entrambe non sopportavamo il freddo.
    Eravamo topi dopotutto. Non cercavamo una casa. Cercavamo un posto per nasconderci - pensavo.
    - Ti piace la nuova casa? - mi chiedeva la mamma.
    Provando a mostrare indifferenza gli dicevo - Carina -, poi proseguivo - Ma ci sono troppe finestre e le pareti bianche non mi piacciono -.
    - Ho capito - la mamma era delusa e un po’ mi dispiaceva, ma se volevo una casa migliore, dovevo comportarmi così…
    - Tutto sommato però è carina -, il suo volto si illuminava mentre sgranocchiava un po’ di formaggio dalla tavola degli umani, approfittando del fatto che non c’erano.
    In realtà la casa mi aveva colpito molto: era spaziosa, il bianco era il mio colore preferito e adoravo la luce, quindi quel numero di finestre andava più che bene.
    - Domani ricomincia scuola - avvisava cambiando argomento e lasciandosi sfuggire un sorrisetto.
    - Che schifo -, e qui finiva la nostra discussione… quindi iniziavo a perlustrare le varie stanze della casa.

    Il giorno dopo ritornavo a scuola, finito il week-end, con la stessa aria di sempre: un’anima errante.
    Tutti lì mi prendevano in giro: secondo loro ero strano, ma per me loro erano tutti uguali. Persino i professori non risparmiavano una battuta che era ripetuta dai compagni per un mese come minimo.
    Mentre mi buttavo a peso morto sulla sedia, la professoressa ci chiedeva se avevamo portato il pezzo di formaggio modellato, ossia il compito per casa.
    - Sì, professoressa - rispondevamo tutti in coro.
    Mentre la professoressa passava tra i banchi, dietro sentivo Clà e Fri sparlare di me, ma ormai evitavo di girarmi e rispondergli: era solamente tempo sprecato.
    - Clara, il tuo lavoro -, lentamente prendevo la pallina di pane da sotto il banco e ce la poggiavo, ritornando poi seduta a occhi chiusi.
    - Dormi? - diceva la professoressa con un sorriso furbetto poi continuava cantando - Disperato… disperato! -. Si riteneva simpatica e rideva da sola mentre cantava, poi tutti gli altri topi l’accompagnavano.
    Rimanevo impassibile e lei cantava sempre di più… poi finalmente smetteva: non era la battuta in sé che mi dava fastidio, ma il fatto che era un motivo in più per i compagni per prendermi per i fondelli.
    Tutto ciò andava avanti ogni giorno e persino il mio rapporto con la scuola e con i voti peggiorava sempre più.
    Mi vedevano diverso forse per il mio atteggiamento o perché non ero bello come loro, fatto sta che dovevo subire ogni giorno quelle prese in giro.
    La sera, come al solito, la mamma mi chiedeva come era andata la giornata ed io mi limitavo a risponderle: - Bene -. Come se fosse così.

    Era martedì, il secondo giorno della settimana, e ogni mattina andava a ripetersi come ogni volta. Oggi però accadeva qualcosa di speciale: un topo della mia classe mi aveva chiesto aiuto! Io amo aiutare gli altri e magari mi ricambierà il favore facendomi accettare dal suo gruppo di amici. A questo topo, Lenn, era capitato un atto di bullismo: veniva frequentemente minacciato e picchiato.
    Chiedeva aiuto a me sicuramente perché sapeva che non lo avrei mai detto a nessuno: sono un topo di poche parole.
    Come ogni pomeriggio, dopo aver svolto i compiti, passavo il mio tempo da solo girando per la città a pensare.
    Cosa potevo fare per aiutare Lenn? Sembrava veramente conciato male sia fisicamente che psicologicamente… il modo migliore era dirlo ai professori, ma non potevo: gli avevo promesso che non lo avrei mai fatto. Poi avevo paura quanto lui del loro giudizio: non provavano emozioni.
    Senza accorgermene stavo andando incontro a un umano, ma per fortuna lui non riusciva a vedermi al momento, quindi tornavo a gironzolare stando più attento.
    Tramontava il sole e preparavo la cartella per l'indomani, quando avrei dovuto affrontare una nuova giornata di stress. Quella sera andavo a dormire prima: ero stanco per la lunga passeggiata.
    Arrivata viva e vegeta al mercoledì, pensavo a scuola ad un metodo per aiutare Lenn, ma per quanto mi sforzavo non riuscivo a trovare un'adatta soluzione.
    Non mi rendevo conto di cosa mi stava intorno e, mentre riprendevo coscienza, trovavo tutti i compagni a fissarmi in silenzio, con la professoressa dietro di me, per poi scoppiare a ridere.
    - Possibile che non ti sia accorto di niente? - diceva Clà il pettegolo, che ad ogni parola non riusciva a non sputare tre litri di saliva.
    - Consegnami il diario, Clara - la professoressa sembrava godere pronunciando lentamente e scandendo bene ogni lettera.
    - Subito -, dicevo cercando di mostrare la solita indifferenza; però Lenn non rideva: forse perché non ne aveva voglia o forse perché lo stavo aiutando ad uscire da quella situazione, ma in ogni caso mi rincuorava molto.
    Dalla cattedra la professoressa diceva guardandomi fissa negli occhi - Ho finito di scrivere l'avviso alla tua famiglia, puoi riprendere il diario -.
    Subito dopo avermi consegnato il diario la professoressa riprendeva la lezione, ritornando sobria e riportando sul volto quel sorrisetto enigmatico.

    Il giorno dopo, giovedì, mentre facevo colazione mi veniva un'idea: perché non far smettere il bullo di picchiare la gente? Potevo trovare un modo per farlo sfogare e capire se aveva dei problemi, ma questo comportava un grande rischio per me... ma ormai tanto valeva provare!
    A scuola, alla ricreazione, chiedevo a Lenn:
    - Potresti dirmi chi è il bullo che ti tormenta? -
    - No. - mi rispondeva annoiato, così gli replicavo: - Ho un'idea! -
    - Non mi va Clara! Spiegami prima quest'idea -.
    Spiegata l'idea, cercavo di convincerlo e, dopo un po' di titubanza accettava finalmente e mi svelava il nome del topo: - E' Flex -.
    In effetti me lo aspettavo: Flex era un topo più grande che ripeteva la nostra classe, e faceva spesso lo spaccone, ma dovevo essere certa che fosse lui.
    Il pomeriggio andavo a casa di Flex senza preavviso.
    Mentre bussavo alla porticina della sua umile casa, guardavo intorno a me il folto prato di erbetta verde e il piccolo recinto dipinto di bianco. In questi momenti mi accorgevo che ero molto fortunato a possedere quella casa.
    Ecco Flex che apriva la porta e, dopo qualche secondo di stupore, mi diceva:
    - Cosa c'è? -
    - Nulla, volevo solo sapere se ti va di fare quattro tiri alla pallina di pane indurita - dicevo indicando un batuffolo di pane su cui avevo lavorato per mesi.
    - Andiamo. Chiamo dei topi amici - mi rispondeva, mostrando indifferenza come faccio di solito io di fronte ad alcune situazioni imbarazzanti: è strano che una topina giochi a "palla di pane" con dei maschi, ma dovevo provare.
    Qualche minuto dopo Flex mi appariva davanti dicendo: - Possiamo andare - per poi continuare dopo una pausa: - Saremo in nove -.
    La partita diventava sempre più disastrosa da quando avevamo iniziato: Flex e i suoi topi amici erano molto aggressivi e fallosi e non si fermavano nemmeno davanti ad una topina come me.
    La sera andavo a letto con i lividi alle zampette, pensando che avevo fallito il primo tentativo.

    Il venerdì mattina puntualmente andavo a scuola come se poco prima avessi scalato una montagna. Mentre Lenn mi chiedeva com'era andata la partita, gli mostravo le zampe: - Un disastro -.
    - Mi dispiace - mi rispondeva con uno sguardo che indicava pietà, dispiacere e senso di colpa.
    Il pomeriggio, sempre alla stessa ora del giorno precedente, bussavo alla porticina della casa di Flex che, stavolta meno stupito, mi richiedeva:
    - Che ci fai qui? -, la domanda era ovvia quindi gli mostravo una canna piena di buchi... - Oggi suoneremo insieme la canna -.
    Mi faceva entrare e, sempre più timorosa, seguivo lui che mi faceva strada verso camera sua.
    - I tuoi non ci sono? - gli chiedevo, pentendomi poi qualche secondo dopo.
    - No, non ci sono mai per me - rispondeva con voce ferma e sicura, quasi se ne vantava.
    Provavo a spiegargli come si facevano bene le note con la canna e a volte riusciva, dopo molto esercizio, ad eseguire brevi canzoncine.
    Tutto sembrava filare liscio, fino a quando, preso dalla collera, buttava la canna per terra e la rompeva con i denti.
    - Esci di qui - mi diceva con un'aria tranquilla, ma più non volevo andarmene più alzava la voce finché, presa dalla collera gridavo: - Sai che ti dico? Sto cercando di aiutarti e tu non sai apprezzare i nulla! Se proprio vuoi rimanere solo ti accontento, magari scrivi che ti passa! - e così dicendo gli buttavo una penna addosso, che schivava con grande facilità.
    La sera andavo a letto con la testa che scoppiava, pensando che avevo fallito il secondo ed ultimo tentativo: rinunciavo. Se essere accettati significava pagare quel prezzo allora no, meglio stare sola!

    Il sabato mattina, mentre scendevo dalla macchina, mi accorgevo che ero arrivata in largo anticipo a scuola e così mi andavo a sedere da sola su una panchina.
    Era tutto normale finché Flex non mi sbucava da dietro e mi metteva paura. - Sei di buon umore oggi? Hai imparato la lezione? - gli chiedevo con un cinismo che non avevo mai mostrato.
    - Sì, e indovina un po'? Il tuo consiglio mi ha fatto veramente bene! Sei grande! - diceva abbracciandomi, ma io mi scansavo chiedendogli: - Quale suggerimento? -.
    Sempre più sorridente mi diceva: - Ho scritto! -, in realtà io gli avevo suggerito di scrivere in un momento di rabbia, era una cosa detta a caso... ma aveva funzionato!
    - E' una poesia dal nome "Discordia", appena la perfezionerò te la farò leggere -
    Infatti poco dopo, a pranzo, Lenn correva a ringraziarmi: - Come hai fatto? Oggi è di buon umore e non mi ha picchiato! -
    Mentre gli raccontavo quello che realmente era accaduto, spalancava sempre più la bocca.
    Dopo gli ultimi ringraziamenti, mi lasciava da solo: - Devo mangiare con una persona, gliel' avevo promesso! -
    La sera andavo a dormire più felice che mai, capendo come a volte la fortuna accontenta tutti.

    Domenica mi riposavo da scuola e, preso coraggio, provavo a chiedere a Lenn di uscire insieme con il suo gruppo di amici.
    Arrivata a casa sua e bussato alla porticina gli chiedevo: - Ciao Lenn, ti va di uscire insieme stasera? -.
    Lui mi rispondeva: - Scusa, ma non posso: vado con Flex per riappacificarmi-.
    - V-va bene... ciao -, ero delusa perché Clà il giorno prima mi aveva detto che usciva la domenica sera con Flex, Lenn e il suo gruppo.

    Trenta anni dopo
    Ed eccomi qui, topini, che termino questa storia così. Spero abbiate appreso tutto ciò che vi volevo trasmettere: molte persone non sono sincere.
    Quindi badate a non fidarvi mai ciecamente di nessuno.
    Questa è la storia di me trent'anni fa, fatene tesoro.

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    Questa storia non descrive affatto la mia vita: fino a prova contraria i miei "compagni" non sono arrivati a questo livello di cretinaggine :lol:

    Spero di non aver fatto errori gravi e di aver consegnato un lavoro decente, comunque questo è un racconto che mi sta servendo per un contest, infatti l'incipit è tratto da un libro ^^
  9. .
    Up
  10. .
    No problem :D
  11. .
    Grazie :P
  12. .
    Ciao :P
    Il carovaccio mi è sezione protetta ;)
    Grazie per i consigli.
    Per le domande... non ne ho idea nemmeno io :lol:
  13. .
    Benvenutissima :)
    Quindi ami anche gli anime e i manga? :)
  14. .
    Superbenvenuta ^_^
  15. .
    Mi hanno suggerito di postarlo qui, poichè non c'è una sezione adatta ^_^
    Avviso: Il racconto è già stato editato sotto consigli di altri utenti prima che lo postassi qui ^_^


    10:00
    « Fra, sveglia. »
    Nessuna risposta
    « Fra, c'è la messa. »
    Fra si alzò pimpante « Sì, mamma! »
    Era così felice di potersi schiarire le idee sulla religione che saltò il suo solito riposino di cinque minuti -si fa per dire- sul divano, e dopo aver fatto colazione, andò subito a prepararsi.
    Mise la maglietta della sorella, quella della “Guinnes” e un paio di jeans, giusto per non essere troppo elegante, come per dire a qualcuno o qualcosa “Io ci sono, ma vengo in confusione, batti un colpo se ci sei tu”.

    10:40
    «Sono pronto mamma.» , gidò dal piano di sotto. La casa di Fra era veramente grande: partiva tutto dalla misteriosa mansarda, la camera della sorellina che gli mancava tanto, per poi andare al secondo piano, nelle camere da letto e nello studio e infine scendere nel soggiorno accanto alla cucina.
    « Sì, un attimo » si fa sempre per dire: lui e la mamma erano molto ritardatari.

    11:10
    « Visto? Sono pronta!»
    « Ed è passato solo un attimo mamma, complimenti! » disse Fra con tono sarcastico.
    « Non ti conviene trattare male quella che è una futura modella »
    « Futura modella? Vuoi veramente le botte? »
    Meno male che c’era mamma a portare buon umore nel cuore di Fra.

    11:15
    Ci misero circa due minuti per trovare posto, si sedettero per poi rialzarsi dopo tre secondi per la lettura del Vangelo
    Davanti a loro era seduto Peppe con suo padre; Peppe era un ragazzino che Fra già conosceva, ma sì, lo aveva incontrato in quel gruppo di futuri-delinquenti che entrambi avevano smesso di frequentare dato che non erano ragazzi che si facevano influenzare facilmente: non gli piacevano i botti, far scattare gli antifurti delle macchine, o vedere ogni giorno risse.
    11:35
    Passati venti minuti. Peppe non si accorse di Fra fino a che non si girò; il suo sguardo pian piano aveva acquistato timore.
    « Mi avrà visto mentre lo facevo?»
    I suoi occhi dicevano questo, Francesco trovava quella preoccupazione inutile: perché vergognarsi di voler bene al padre?

    11:45
    Passati dieci minuti dall'incrocio dei due sguardi; da quel momento Peppe mostrò totale indifferenza al padre: niente più bacetti e occhiolini.
    Don.Pippo chiamò sull'altare tutti i bambini del catechismo. Lentamente Fra camminò, per poi buttarsi a peso morto sulle ginocchia, si rese servo, ma a chi?
    Subito dopo una predica ai piccoli ci fu la transustansazione, Francesco prese la comunione ma con un po’ di incertezza e decise che presto avrebbe confessato al prete i suoi problemi nei giorni seguenti.

    11:55
    E' la fine della messa, scambio di pace, musica di sottofondo, predica, tutto finito. Fra prese coraggio e andò da Peppe.
    « Peppe, quanto tempo »
    « Ehm, già, come va? »
    Fra lasciò perdere quell’inutile domanda fatta solo per distrarlo dal suo obiettivo.
    « Dimmi, vuoi molto bene a tuo padre? »
    « Sì, abbastanza »
    « Ti posso guardare io, o il ragazzo più figo della scuola, tu smetterai comunque di voler bene a tuo padre? Qualunque cosa succeda, ricordati chi è tuo padre, abbraccia sempre tuo padre, ciao Peppe. »
    Atmosfera tombale.
    Francesco lasciò la chiesa facendo finta di pulirsi la maglietta, -secondo lui aveva molto stile- e esercitò la sua solita e inconfondibile camminata lenta, una camminata che faceva pensare.
27 replies since 4/3/2012
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